“…E lo depose in una mangiatoia perché non c’era per essi posto nell’albergo”
(Lc 2,6-7).
Dirà più tardi: “Bussate e vi sarà aperto”.(Lc 2,6-7).
Ma per sua madre, che lo recava in grembo, le porte sono rimaste sbarrate e gli uomni dietro, murati nella fortezza del loro egoismo, decisi a non cedere mezzo metro di pavimento. Non c’era posto per lui. E deve nascere fuori dalla città. Così come morirà fuori dalla città. Ci sentiamo in dovere di indignarci nei confronti di quelli che gli hanno sbattuto la porta in faccia. Può essere uno sdegno fasullo. Può essere un comodo alibi. In realtà, noi facciamo qualcosa di peggio. Abbiamo imparato le buone maniere e ci ripugna il gesto di lasciarlo fuori dalla porta, siamo gente educata noi. Mica come quei villanzoni… Non lo lasciamo fuori. Subodoriamo il pericolo, avvertiamo la sua presenza inquietante, comprendiamo che dobbiamo difenderci da lui. Ma non lo lasciamo fuori. Con le buone maniere, adottando i più sottili accorgimenti diplomatici, riusciamo a renderlo “innocuo”.
Blocchiamo il Natale. E la nostra operazione è più perfida di quella tendente a lasciarlo fuori. In che modo blocchiamo il Natale? Ecco. Cristo ha la pretesa di portarci la luce.
Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce. Su coloro che abitavano in una terra caliginosa di ombre di morte risplendette una luce
(Is 9,1)
… E la luce splende nelle tenebre.
(Gv 1,5)
Ma ci siamo subito resi conto che quella è una luce scomoda, indiscreta, che fruga in tutti gli angoli, che mette a nudo le nostre miserie, le nostre insufficienze, le nostre vigliaccherie. E’ una luce che non si rassegna a essere ornamentale, ma che impegna, esige mutamenti di rotta nella nostra vita. E’ una luce spietata, fastidiosa, che provoca. E noi piuttosto che lasciarci vincere da questa luce, di arrenderci a essa, preferiamo farle concorrenza. Le opponiamo i nostri ridicoli palloncini colorati. Finiamo col compiere un gesto infantile: ci copriamo gli occhi con i pugni, per difenderci contro la luce che ha fatto irruzione nella capanna di Betlemme. Pugni chiusi dinanzi agli occhi o palloncini colorati: ecco come riusciamo a neutralizzare la luce. Cristo è venuto a regalarci la gioia.(Is 9,1)
… E la luce splende nelle tenebre.
(Gv 1,5)
“Non temete, perché, ecco vi annunzio una grande gioia che sarà per tutto il popolo”
(Lc 2,10)
Gioia, perché abbiamo un Dio che si occupa dell’uomo, che scende verso l’uomo, che si fa vicino all’uomo, che si fa uomo. Un Dio che si pone sulla strada dell’uomo per fare il cammino insieme, per condividerne pene, miserie, lacrime, angosce, speranze. Un Dio che viene a portare la salvezza. A tutti. Un Dio che si rivela come misericordia. Gioia perché all’uomo viene dischiusa una possibilità che poteva sembrare pazzesca.(Lc 2,10)
“Dio si è fatto uomo perché l’uomo potesse diventare Dio”. A pensarci bene, c’è da impazzire di gioia. E invece no. Rifiutiamo la gioia. Cristo è venuto a portare la felicità, una felicità che supera tutti gli orizzonti terreni. E noi lo consideriamo un intruso. Un guastafeste. Un nemico della gioia. Abbiamo l’impressione che venga a rubarci la terra, venga ad avvelenare i nostri “nutrimenti terreni” in cui affondiamo denti ed unghie. La gioia? Ma lasciaci rosicchiare in pace le nostre piccole gioie umane, barricati nella tana del nostro placido egoismo… Cristo ci reca il suo dono. Meglio, non ci porta dei doni. Si fa dono. Il dono per eccellenza. E noi facciamo finta di non accorgerci neppure del dono. D’altra parte, siamo troppo impegnati a scartocciare i nostri piccoli doni. Così soffochiamo il Dono sotto una montagna di carta colorata, giocattoli, ninnoli, chincaglieria inutile. In tal modo, l’operazione è riuscita. Ce l’abbiamo fatta a “bloccare” il Natale. Con le belle maniere.
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